
Quando si parla di violenza di genere il profilo psicologico del maltrattante spesso rimane nascosto, quasi inesplorato nel suo essere protagonista di abusi fisici ed emotivi, mentre la vittima tende spesso a colpevolizzarsi e a trovare nel proprio comportamento la ragione del comportamento del partner. Non di rado, la donna, che spesso dipende economicamente ed emotivamente dal partner, decide di tacere, restando confusa e dubitando di se stessa. Dominio e gelosia vengono interpretate come prove d’amore.
Sappiamo bene che la violenza agita in famiglia racconta coercizione sessuale, determina progressivo isolamento sociale della vittima, evidenzia nelle pratiche tradizionali negative il sussistere di diritti umani negati.
Il più delle volte, anche a distanza di tempo, la donna che ha subito il controllo del partner denuncia un profondo sovvertimento della propria capacità di praticare e mantenere relazioni interpersonali. Per la paura e il rischio di nuove e più gravi violenze, la donna può resistere nella situazione di violenza anche molti anni, adottando meccanismi di rimozione e minimizzazione delle violenze, indotti dalla necessità di sopravvivere al ripetersi di eventi traumatizzanti, sino alla consapevolezza che, solo con la separazione, potrà interrompere la violenza e proteggere se stessa, i figli e le figlie.
Quando poi la donna è vittima di atti persecutori il Centro Antiviolenza agisce contro lo stalking, inteso come molestie e/o minacce ripetute che turbano le condizioni di vita della donna e la mettono in uno stato di insicurezza e timore per se stessa.
La donna che decide di allontanarsi dalla situazione di pericolo, spesso lasciando la propria casa insieme alle figlie e ai figli, deve trovare le risorse per far fronte ai nuovi bisogni che il distacco comporta, insieme all’elaborazione del lutto e alla ricostruzione dell’autostima. Deve fronteggiare la paura di nuove e più gravi violenze, spesso deve trovare un luogo dove proteggersi, sconosciuto al maltrattante, oltre a trovare le risorse economiche per mantenere se stessa, le figlie e i figli.
La decisione di interrompere la relazione e separarsi costituisce il momento di maggior pericolo per la donna e deve essere affrontato con le necessarie cautele per evitare le reazioni violente del partner alla notizia della separazione. Nella maggior parte dei casi, le donne uccise dal partner non sono quelle che ancora subiscono la violenza, ma quelle che hanno trovato la forza e il coraggio di sottrarsi ad essa.
Il Centro Antiviolenza è una struttura in cui sono accolte donne di tutte le età, indipendentemente dal luogo di residenza, che hanno subito violenza o che si trovano esposte alla minaccia di ogni forma di violenza, (domestica, economica, sessuale, psicologica, verbale…). Al CAV è fatto esplicito divieto di applicare le tecniche di mediazione familiare, nel rispetto delle normative della Convenzione di Istanbul (2011).
La struttura destinata a sede operativa del Centro Antiviolenza, iscritto nell’elenco della Regione Toscana, possiede i requisiti logistici e garantisce un’apertura di 5 giorni, un numero di emergenza: 3209624006 attivo 24h su 24
adotta la Carta dei Servizi, garantendo l’accoglienza con giorni e orari di apertura al pubblico in locali dedicati a tale attività
si avvale di professionalità femminili adeguatamente formate e aggiornate
si attiene alle indicazioni nazionali per la valutazione del rischio
assicura collegamenti diretti con le Case Rifugio e con gli altri Centri Antiviolenza o Sportelli esistenti sul territorio
aderisce al 1522 numero verde nazionale antiviolenza e stalking.
Il CAV offre, a titolo gratuito, le seguenti attività di sistema
Accesso diretto tramite:
telefono (cellulare: 3209624006 H24 e il numero verde nazionale 1522)
Accesso diretto di persona:
CAV, Sportello, Punti di contatto in altri Enti, pubblici e privati
Invio della donna dal territorio
Servizi Sociali, Socio Sanitari, Forze dell’Ordine, liberi professionisti, organizzazioni del Terzo Settore
Viene definito come qualsiasi forma di violenza a cui il minore assiste all’interno della famiglia, agita contro figure di riferimento (madre, padre, sorella, fratello, etc.).
È un fenomeno molto diffuso e trasversale, presente in ogni ambito culturale, sociale ed economico e che avviene prevalentemente all’interno del contesto familiare. Spesso, questo fenomeno viene tenuto nascosto da chi agisce la violenza, da chi la subisce, da chi ne è a conoscenza.
Per una bambina o per un bambino, essere testimone di violenze familiari significa subire maltrattamenti in prima persona. Assistere direttamente agli episodi violenti, o anche solo percepirne gli effetti, cagiona danni alla personalità e allo sviluppo dei minori, la cui gravità è pari a quelli prodotti dalla violenza subita.
La violenza assistita, in quanto maltrattamento psicologico, comporta effetti a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale. Anche se non risulta dimostrabile una correlazione lineare tra la violenza assistita e l’insorgenza di esiti clinici, conseguenze dannose provocate da abusi, maltrattamenti e violenze, si verificano con grande frequenza, anche nei casi in cui il bambino, la bambina non manifesti un sintomo immediato.
Quando l’esposizione a scene di violenza è ripetuta, il benessere, lo sviluppo individuale e la capacità di interagire in modo funzionale a livello sociale sono seriamente compromessi, sia durante l’adolescenza che nell’età adulta. Nell’immediato, la violenza assistita può causare diverse manifestazioni di disagio come iperattività, stress, depressione, difficoltà scolastiche, ridotte capacità empatiche, svalutazione di sé e, sul lungo periodo, aumenta il rischio della riproducibilità, ossia di sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale, cosa che avviene soprattutto nei rapporti di coppia.
L’effetto della violenza contro le donne va ben oltre le persone direttamente interessate (vittima ed esecutore della violenza) e colpisce i minori, le famiglie, le comunità e la società in generale.
LA VIOLENZA ASSISTITA DA MINORI
Viene definito come qualsiasi forma di violenza a cui il minore assiste all’interno della famiglia, agita contro figure di riferimento (madre, padre, sorella, fratello, etc.). È un fenomeno molto diffuso e trasversale, presente in ogni ambito culturale, sociale ed economico e che avviene prevalentemente all’interno del contesto familiare.
Spesso, viene tenuto nascosto da chi agisce la violenza, da chi la subisce, da chi ne è a conoscenza. Per una bambina o per un bambino, essere testimone di violenze familiari significa subire maltrattamenti in prima persona. Assistere direttamente agli episodi violenti, o anche solo percepirne gli effetti, cagiona danni alla personalità e allo sviluppo dei minori, la cui gravità è pari a quelli prodotti dalla violenza subita.
La violenza assistita, in quanto maltrattamento psicologico, comporta effetti a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale. Anche se non risulta dimostrabile una correlazione lineare tra la violenza assistita e l’insorgenza di esiti clinici, conseguenze dannose provocate da abusi, maltrattamenti e violenze, si verificano con grande frequenza, anche nei casi in cui il bambino, la bambina non manifesti un sintomo immediato. Quando l’esposizione a scene di violenza è ripetuta, il benessere, lo sviluppo individuale e la capacità di interagire in modo funzionale a livello sociale sono seriamente compromessi, sia durante l’adolescenza che nell’età adulta. Nell’immediato, la violenza assistita può causare diverse manifestazioni di disagio come stress, depressione, difficoltà scolastiche, ridotte capacità empatiche, svalutazione di sé e, sul lungo periodo, aumenta il rischio della riproducibilità, ossia di sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale, cosa che avviene soprattutto nei rapporti di coppia.
L’effetto della violenza contro le donne va ben oltre le persone direttamente interessate (vittima ed esecutore della violenza) e colpisce i minori, le famiglie, le comunità e la società in generale.
La Rete Antiviolenza Città di Livorno è una partnership costituita da Comune, Questura, Arma Provinciale dei Carabinieri, Azienda USL 6, Associazione Ippogrifo. I partner operano nell’attivare sul territorio azioni integrate d’intervento a favore di donne e minori che subiscono violenza.
La rete è stata formalizzata attraverso un protocollo d’intesa firmato il 25 novembre 2011.
L’obiettivo è quello di lavorare insieme per contrastare la violenza di genere, un fenomeno purtroppo ancora oggi molto grave e diffuso come dimostrano le cronache che sempre più spesso si occupano di episodi di violenza contro donne e di minori.
La nostra associazione è anche partner della Rete Sociale “Alba Rosa” costituita nel 2013, attraverso protocollo d’intesa, da Fondazione Caritas, SVS Livorno, Centro Servizi Donne Immigrate (CeSDI). A queste realtà del Terzo Settore si sono in seguito aggiunte l’Associazione dominicana “Hermanas Mirabal” e AGeDO. Questa partnership opera nel privato sociale e nel volontariato per la prevenzione e il fronteggiamento di ogni forma di violenza contro donne e minori.
Ippogrifo Centro Antiviolenza (CAV) accoglie e accompagna le donne nel percorso di rafforzamento e consapevolezza per l’uscita dalla situazione di violenza.
Ogni giorno cerchiamo di migliorarci e per questo il vostro parere è davvero importante per noi.
Vi ricordiamo che la compilazione del questionario è anonima e le risposte saranno utilizzate solo ad uso interno dell’Associazione Ippogrifo.
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